Guatolla un pezzo, e poi così, come se fosse persona, le rivolse la parola:
- Compagna fedele di ogni mia sventura! io avrei sperato che tu meco fossi discesa dentro al sepolcro. Dappoichè questo non ha concesso Dio, e tu nemmeno mi rimarrai superstite nel mondo, forse a celare la calvizie della età matura, o a crescere la lusinga della lascivia: nata, e cresciuta sopra capo di vergine, tu non diventerai arnese di menzogna... e poi tutto in te è pregno di disgrazia, e porteresti teco lo infortunio a cui ti usasse. Giova pertanto che tu ti disfaccia, come me, negli elementi che ci compongono; le nostre particelle fatali si sperperino nella immensa fatalità del mondo: insieme unite hanno fatto, e forse tornerebbero a fare prova troppo dolente. Solo ne separo questa ciocca, e tu ti consuma...
E la gittò nel fuoco che ardeva dentro al cammino. In breve della chioma magnifica avanza un pugillo di cenere bianca.
- A te, Virginia, prosegue Beatrice; io parto questa ciocca dei miei capelli in due, ed a te la consegno. Se un giorno mai tu incontrassi un uomo alto e bello, di capello biondo, col segno della fatalità marcato tra ciglio e ciglio... tu lo ravviserai perchè tutti gli sventurati presentano in volto certa rassomiglianza di famiglia; ed io, vedi, quando prima mi ti presentasti davanti ti riconobbi per mia sorella di dolore; e poi, senti... ( - e le sussurrò vergognosa una parola negli orecchi - ) tu gli darai questa ciocca qui: quest'altra serberai per te. Io posso lasciarti danari e robe e gioie, e te le lascerò; ma queste non fanno parte di me; col recarti addosso i miei capelli avrai sempre teco un frammento del mio ente.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Dio Virginia Beatrice
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