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      Una voce belante, che muoveva dall'interno della stanza presso la quale stava seduta la bella Caterina, si fece sentire dicendo:
      Caterina, mi fa male sentirti sola in cotesta diacciaia; - perchè non vieni di qua in camera, chè staresti a migliore agio? Questo anno il freddo ci è caduto addosso più presto del solito, e più pungente...
      Giustino mio, non vi date pena per me. Il lume vi recherebbe fastidio, e il rumore del lavoro vi guasterebbe il sonno. Riposate, - procurate chiudere gli occhi almeno stanotte.
      Non importa; tanto del pane della vita i tre quarti io me li sono mangiati. - Per uomo della età mia ogni minuto è tempo di morire. - Prendersi pensiero di me egli è come seminare grano in Gonfolina. - Vieni... vieni, levati da quel freddo costà.
      Se alcuna cosa vi abbisognasse, Giustino, parlate; - sto qui per servirvi: ove poi lo diciate a mio riguardo, gran mercè; - lasciatemi stare... io sudo...
      Sta pure, figliuola mia! Ah! benedetta la gioventù...
      La giovane donna s'ingegna ad alitare più basso. Sovente accosta l'orecchio alla porta, spiando se il vecchio dorma, e poi alza la faccia a consultare l'orologio a pendolo appeso alla parete dirimpetto a lei, e pare che non senza brivido ella veda avvicinarsi la lancetta ad un'ora fatale. Quinci rimuove lo sguardo, e pieno di ansietà lo fissa sopra la porta che dà adito alle scale, e così continua in quel moto, che vorrei dire triangolare.
      L'amore affina i sensi, e questo è provato. La Caterina ha udito un suono: il suo cuore non s'ingannerà. Chiunque altro non lo avrebbe sentito, - ma io lo ripeto - la donna innamorata davvero sembra quasi divina nelle sue sensazioni.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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