Se tu aspettavi un poco, ti saresti serbata innocente, ed io morivo in pace. - Adesso scendo nel sepolcro disperato, ma senza amarezza contro di te. - Prendi il mio testamento: io ti lascio donna di te, e delle cose mie. Possa perdonarti Dio, com'io con tutte le viscere dell'anima mia ti perdono. - E tu, che ho conosciuto soltanto per la disperazione che versi in questa ultima ora su l'anima mia, - che ho veduto al chiarore del fulmine, - se l'amerai sempre di amore, - se me la renderai contenta... va... io mi parto dal mondo perdonando anche a te...
Indi a poco, rumore di orme vacillanti, come dì uomo che tentenna per cadere, - e di caduta.
Comecchè i due amanti non avessero membro che per paura non tremasse, pure trovarono il coraggio di accorrere nella stanza delle fantesche: tolsero le lucerne, e tornarono accompagnati dai famigli a vedere quello che fosse avvenuto. Allo affacciarsi nella sala, il vento spegne nuovamente tutti i lumi; tornarono da capo per essi, e questa volta più cauti, adoperando i debiti riguardi li mantennero accesi.
Raccolsero il misero Canacci disteso sul pavimento, e lo riposero a letto.
Ciapo, accostandogli il lume al volto, vide uscirgli dalle narici una spuma sanguigna, - la bocca torta, - il colore pavonazzo, - gli occhi fissi, invetrati,
Ciapo sentì raccapricciarsi di nuovo ribrezzo, e male sostenendone la vista si trasse in disparte mormorando:
Egli... ha bisogno del prete che gli raccomandi l'anima...
La Caterina pareva presa da catalessia. Come Niobe mutata in pietra, immobile accanto al letto non piangeva, non parlava; neanche il seno le palpitava: la forza tremenda dell'incubo la dominava intera.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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Dio Canacci Caterina Niobe
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