La borsa lo aveva colto nel petto non senza grave dolore; ma pensando Bartolommeo come la gravità della percossa stesse in relazione della gravità della borsa, con una mano si fregò la parte offesa, coll'altra si aiutò a riporsi in piedi, e quanto più poteva curvandosi, imitando co' moti i quadrupedi, fra i quali sarebbe stato pur meglio lo avesse collocato la natura, si allontanava dicendo:
Gran mercè, signor duca. In casa del suo umilissimo e obbedientissimo servitore, ella è padrone di tutto; - e se posso servire, disponga: - già io sono uomo di manica larga; - -mi accomodo facilmente; - e quando Vossignoria mi dirà: Baccio, chiudete un occhio, io, come vede, le presento il vantaggio di chiuderli tutti e due.
Mentre queste cose avvenivano, e queste parole si favellavano, si levò uno strido:
Me misera! sono stata tradita!
Quando il duca si volse per guardare Caterina, la vide distesa a terra, rigida e bianca come una statua di marmo rovesciata dal suo piedestallo.
VII.
Poco innanzi l'alba del secondo giorno di novembre, un debolissimo colpo fu bussato alla porta della villa Salviati. Il fedele valletto, che aveva vegliato tutta la notte oregliando a quella porta, lo intese, e aperse subito, augurando sommesso il buon giorno al suo signore. Questi però non rispose: appoggiato il suo al braccio del servo, prese a salire le scale.
Il valletto a cagione del buio non poteva guardarlo in volto: gli toccò la mano, e la senti bagnata di freddo sudore. Salirono pianamente, e senza dire un fiato penetrarono nella sala, ove da una parte metteva capo il quartiere del duca, e dall'altra quello della duchessa.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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Bartolommeo Vossignoria Baccio Caterina Salviati
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