- Misera! Quanto può tentare creatura per liberarsi dalla ossessione era stato adoperato da lei. Aveva chiamato l'ira della vanità delusa, l'offesa del sofferto inganno, la religione, il rimorso: - nessuna cosa era stata obbliata; non le materne ammonizioni, la benevolenza del coniuge, e nè perfino il pensiero della duchessa infelice consorte, - madre sconsolata. - Tutti questi argomenti raccolti come una schiera ordinata furono opposti alla passione; e l'amore, sgomento dall'improvviso assalto, ridiveniva umile; in sembianza di povero derelitto implorava per carità di vivere di memorie, di nudrirsi di sospiri e di lacrime.
Tal quale - l'Amore, che fanciullino mézzo di pioggia, assiderato dal freddo, domanda ricovero ad Anacreonte: - imperciocchè i Greci i concetti loro suolessero vestire con piacevoli immagini. La filosofia diceva alla poesia: rendimi amabile. La religione alla scoltura: fammi visibile, senza ch'io perda della mia divinità. Ed ecco Anacreonte traeva una freccia dalla faretra di Amore, e incideva le sue canzoni; e Fidia, raccolto oro ed avorio, effigiava ai mortali Giove olimpico. - Felici ì Greci!
Di lì a poco l'Amore ingrossava la voce, e prendeva a discutere. Nessuno pensi che i più celebrati sofisti abbiano mai saputo adunare tanta copia d'ingannevoli argomenti, quanti egli ne immaginava e adduceva. Dove quei discorsi si fossero potuti tradurre, avrebbero disgradato Cicerone e Demostene. Cresciuto in forza, l'Amore di sofista diventava atleta: non ragionava, combatteva, e stretti gli avversari nelle potenti braccia, li soffocava.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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