E di vero, poco dopo su la porta del Bargello lo decapitarono. Quando il carnefice, afferrata pei capelli la infame testa, la mostrò alla plebe, questa la salutò con urli, fischi, e con avventarle contra di ogni maniera immondezze.
Il signore Iacopo prese a viaggiare per lontani paesi; ricercò straniere nazioni: ma la lama tagliava il fodero: egli portava la morte nell'anima. La natura, gli uomini, gli vennero in fastidio, e se stesso; alla fine si ridusse a morire a casa. Quando scese di carrozza, i suoi più familiari amici e servitori durarono pena a riconoscere in uno scheletro livido, piegato a mezzo, con gli occhi pesti, male su le gambe reggentesi, quel così splendido cavaliere Salviati, orgoglio ed amore della Corte Toscana.
Quotidiane e compassionevoli supplicazioni della duchessa; istanze caldissime del principe Carlo, dei cardinali Alderano e Odoardo, di Ricciarda Gonzaga, di Maria dei Pichi della Mirandola, e degli altri fratelli e sorelle di lei; le mediazioni di principi italiani, e per fino l'autorità del Sommo Pontefice Innocenzio XI, non valsero a rimuovere il duca dal fiero proponimento di non mai più rivedere, nè perdonare la moglie. - Di lì a poco scese pieno di amarezza nel sepolcro dei suoi padri.
Cinquantaquattro anni dopo il triste caso da noi raccontato, una femmina decrepita, vestita a lutto, col volto intieramente nascosto entro un cappuccio di seta nera, appoggiandosi sul braccio di un uomo del pari vestito di nero, ugualmente estenuato dagli anni, appena la campana annunziava l'Ave Maria del giorno si recava a stento nella chiesa di San Francesco della città di Massa, e quivi prostratasi davanti l'altare maggiore dimorava fino all'ora dell'Angelus.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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