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      Ma non potè egli continuar questa pratica, quantunque cautamente e con segretezza si governasse, che la duchessa (che tra l'altre sue virtù haveva anco in superlativo grado quella della gelosia) non ne venisse in cognizione, e non se ne tenesse gravemente offesa. È fama (il che io non ardisco affermare per vero), che entrando una mattina la duchessa in San Pietro Maggiore ove per avventura si ritrovava ancora la Caterina, da lei di vista molto ben conosciuta, quasi paresse semplicemente et a caso, postasele con destrezza a canto, le accennasse in poche, ma pesanti parole, che non ardisse mai più di dar pratica al duca suo marito, minacciandola, se seguitasse, di fiera vendetta; a cui rispondendo la Caterina forse con più baldanza et ardire di quello comportava la sua condizione, accese vie più lo sdegno di quella signora, accelerando per questa via la sua sovrastante rovina. Onde ingolfandosi più che mai il duca nell'amorosa pratica di costei, e dispostasi la duchessa di troncargliene il filo, è fama che da principio tentasse di farla avvelenare; ma ciò non riuscitole, e volendo pure del torto che le pareva di avere farne una segnalata vendetta, venne ad eseguirla con tanta crudeltà e barbarie, che ben veramente potrei dire essere stata fatta alla genovese; et il modo fu questo. Procurò ella (per quanto in quel tempo si disse, e pare verisimile), per mezzo di qualche suo confidente et intimo servitore, d'avere a se segretamente Bartolomeo e Francesco fratelli, e figliuoli di Giustino Canacci, giovani di 24 in 25 anni, i quali se non abitavano, almeno frequentavano assai la casa della matrigna; con i quali avendo lungo discorso, è verisimile che rappresentasse loro la licenziosa vita di essa, e l'ignominia che perciò faceva a loro et alla posterità, et insieme l'obbligo che havevano come persone ben nate di liberarsene, e levarsi costei dinanzi, promettendo loro, quando si risolvessero, a dar loro ogni assistenza nell'esecuzione, et assicurandoli ancora d'una gagliarda protezione, con la quale li haverebbe tratti d'ogni pericolo in cui per tal impresa fussero potuti incorrere.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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