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      Certo giorno un fattore dal contado di Perugia venne alla fiera del paese, e trasse di tasca la scatola piena stivata di tabacco, detto di Chiaravalle, sottilissimo e grato, offerendone a Biagio. Biagio, che già la guardava con occhio feroce, non se lo fece dire due volte: ed ecco avventa le dita come artiglio di aquila; ma tanto si presentava compressa la polvere, che appena gli veniva fatto sfiorarne la superficie. Allora per acquistare tempo e far lavoro, il subdolo Biagio prese a interrogare il fattore come stesse la moglie, e se i figli fossero costumati, e i bovi grassi, - e poi come si chiamasse suo padre, e se vivesse, e quanti anni correvano che il dabbene uomo aveva detto addio ai campi; - e intanto minava la scatola. Il fattore, come colui che di Biagio non era punto meno arguto, con un tal suo garbo romanesco gli disse: - "Compare, o che volete vedere s'io lo abbia sotterrato qui dentro?" - Biagio diventò rosso fino alla radice dei capelli, e tanta vergogna lo prese, che fece voto starsene tutta la sua vita senza tabacco: - e l'osservò per due ore. - Povero Biagio!
      Ma che io vi abbia detto dell'oste è poca cosa, però che adesso mi faccia mestieri tenervi discorso di Lazzaro il tintore. Lazzaro è segaligno; e sembra composto di stinchi: porta calze turchine, turchini i calzoni; la veste, la sottoveste, la camicia turchine; turchine le mani, ed anche la faccia turchina: anzi dentro le crepature della pelle così tenace vi prese dominio per diritto di prescrizione il turchino, che sarebbe opera perduta e illegale volernelo spossessare, e credo che ei non lo tenti nemmeno.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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