Durante parecchie sere le vicende del giuoco si alternarono ora triste ora liete: e fu il tormento di Sisifo; dopo avere sospinto il masso fino al sommo della montagna, tornava a rotolare giù fino alle falde, ma non tanto avverse da disperarlo, nè tanto felici da renderlo pago: parve cosa calcolata con sommo accorgimento per accendere con fiamme inestinguibili cotesta natura piuttosto temperata. Alla fine la fortuna prese a scoprirglisi a viso aperto contraria: rimesse il guadagnato, sparvero di un tratto i risparmi raccolti a stento nella voragine immane, e presto giunse al Rubicone dei cassieri, - alla cassa del padrone. Bisogna confessarlo, la sua immaginazione non evocò fantasma a spaventarlo, lui non turbarono le ambagi di Cesare: tanta cecità lo aveva sorpreso, che si rinvenne mille miglia lontano dalla riva prima di accorgersi che aveva passato il fiume. Quando se ne accorse, non era più tempo per tornare indietro; l'amore, la vergogna e il delitto, come le cagne studiose e conte dell'Ugolino, gli stavano al fianco incalzandolo al precipizio.
Di tratto in tratto sopra l'onda burrascosa della sua anima le apparve una sembianza atteggiata a mesto rimprovero, - la sembianza della madre vedova e lontana; ma egli si affaticò ad annegarla, e l'annegò sotto sconce libazioni di acqua vite.
Quando il giovane, dopo lunga meditazione, deliberò ingoiare un bicchiere dello infame liquore a questo scopo, - allo scopo, dico, di cancellarsi dal cuore la cara e buona immagine materna, - n'ebbe orrore, e pensò avere commesso un parricidio.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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Sisifo Rubicone Cesare Ugolino
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