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      Non però tutte vengono con misura uguale aborrite, e meno delle altre le ricchezze; conciossiachè in queste concorrano abbondevolmente le condizioni per le quali chi le possiede può perderle o donarle, chi n'è privo acquistarle.
      Certo non vuolsi punto negare, e noi per desolata esperienza troppo acerbamente il sappiamo, come le largizioni e i beneficii più spesso generino sconoscenza che amore, e nonostante, a cui riesca usarli con buono accorgimento e con modi onesti, di rado avviene che non conciliino ossequio e credito grandissimo. Quelli ai quali il cielo amico concesse la facoltà di beneficare, avvertano che possiamo uccidere un'anima a colpi di beneficii, come si narra che l'arciero di Metona cacciasse l'occhio destro di Filippo il Macedone con una freccia di argento(45). Inoltre, le ricchezze si perdono assai più agevolmente di quello che si acquistino, e dacchè la compagnia nella miseria sembra che giovi, ci rallegriamo nel presagio della caduta imminente dell'uomo che fortuna locava in parte più eccelsa. E bene di ciò somministrano argomento gli esempi delle antiche e delle moderne Storie, fra i quali basti annoverare Creso doviziosissimo, meglio assai che dai castelli muniti e dalle armi, sovvenuto dal nome di Solone(46); e Ugolino conte della Gherardesca, il quale avendo domandato a Marco Lombardo quello che gli paresse della felicità del suo stato e della copia dei beni terreni, n'ebbe in risposta: "E' parmi che non vi falli altro che l'ira di Dio;"(47) e Piero degli Albizzi nostro, a cui, raggiunto il grado supremo di prosperità, certo giorno di solenne convito fu mandato a donare un nappo pieno di confetti, e intra quelli un chiodo, per ricordargli ch'ei conficcasse la ruota della fortuna(48). Per le quali cose nessuno deve temere tanto avversa la sorte quanto coloro che ebbero a sperimentarla prosperevole sempre: così Filippo di Macedonia, essendogli un giorno recati tre faustissimi annunzi, levate le mani al cielo, supplicava: "Fortuna, io ti prego di darmi dopo questi grandi beni qualche mediocre avversità."(49) E a Carlo di Angiò, colto in mezzo degli eventi secondi da fato nemico, pareva acquistare assai se gli consentiva la Provvidenza cadere gradatamente; per la qual cosa sopraggiuntagli la dolente nuova della ribellione della Sicilia, così supplicava a Dio: "Sire Dio, dappoi che ti è piaciuto voltarmi contraria la fortuna, piacciati che il mio calare sia a petitti passi.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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