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Labilissime ancora la potenza, la bellezza, e la forza: la prima per evento fortunoso; la seconda e la terza per evento fortunoso e per necessità. Gli eventi fortunosi talora si partono dalle mani degli uomini, come furono quelle di Ciro, di Tamerlano, di Gengiskan, di Alarico, Attila, Genserico e simili; tale altra da quelle del destino, come accadde a Cambise, di cui lo esercito spense la sabbia infuocata del deserto etiopico, a Napoleone vinto dai diacci del settentrione, e a Filippo II, la grande armata del quale le onde dell'Oceano infransero come il giovanetto in un momento di stizza rompe i suoi trastulli(51). Alla bellezza poi quando non sopravvenga vicenda che prima della stagione la guasti, giunge il tempo inevitabile, se non il giudizio, in cui ogni umana creatura dovrebbe appendere lo specchio al tempio di Venere col motto: "Dacchè contemplarmivi qual era non posso, come sono non voglio; " secondo è voce che la famosa cortigiana Mnesareta facesse. Lo stesso dicasi della forza; e al vecchio immemore degli anni di rado la fortuna arride come ad Entello, e con frequenza maggiore ci viene fatto incontrare Miloni, i quali presumendo troppo, mentre si affaticano a fendere la querce vi rimangono presi, e diventano preda dei lupi. - Ma pel divino intelletto procede la bisogna altramente. Vitale e splendida l'aurora, sublime il meriggio, magnifico il tramonto. Il mattino di Omero sarà la Iliade, il vespro l'Odissea. Questa fiamma divina non teme furto di Prometeo. Simonide, gittato in mare dallo iniquo nocchiero, non si lagna delle perdute dovizie se mai gli avvenga potere attingere la riva, imperciocchè porti seco tutti i suoi beni; e Biante, sapientissimo, esprime la sentenza medesima, mentre si aggira pellegrino senza viatico per molteplici contrade.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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