Ov'ella ti amasse sempre, abbila cara: sarebbe la gemma più bella del tuo perduto diadema.
Affrettati alla squallida tua isola, e guarda il mare: cotesto elemento può sostenere il tuo sorriso, perciocchè egli non fosse mai dominato da te; - e con la mano neghittosa, nelle tue torbide fantasie scrivi sopra la sabbia che la terra è libera come il mare, adesso che può applicarsi alla tua fronte il motto del pedagogo di Corinto.
Nuovo Timour, nel carcere della tua gabbia quali pensieri saranno i tuoi mentre covi il cruccio imprigionato? Uno solo: - il mondo fu mio! - A meno che somiglievole in tutto a colui di Babilonia, tu non abbi perduto col tuo scettro ogni sentimento, e la vita non dovrebbe più a lungo rinchiudere uno spirito così largamente dimostrato, - così lungamente obbedito, - e così indegno d'impero.
Oh simile al rapitore del fuoco celeste, vorrai resistere all'urto, e dividere con lui la eterna condanna, l'avvoltoio e la rupe! Maladetto da Dio, esecrato dagli uomini, l'ultima tua azione, quantunque non la più trista, eccita il riso di Satana stesso. - Vi fu un giorno, - vi fu un'ora in cui la Terra era della Gallia, e la Gallia era tua: allora, non anche sazio, la rassegna dello immenso potere sarebbe stato atto di fama più pura di quella che circonda il nome di Marengo, e avrebbe diffuso una luce di oro sopra il tuo tramonto traverso il crepuscolo dei secoli, - malgrado qualche nube passeggiera di delitto.
Ma tu eri nato al trono e a vestire la clamide di porpora, come se cotesto manto di follia avesse avuto virtù di soffocare le rimembranze del tuo petto.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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