Cagione di decadenza ci sembrò la poca protezione, anzi lo abbandono, od anche meglio il disprezzo compartito alle lettere umane; ma consideravamo poi che nè abbandono, nè disprezzo, nè persecuzione erano bastate mai a trattenere gli altissimi intelletti a compire le belle opere per le quali salirono a tanta rinomanza; e per tacere degli altri (imperciocchè delle sventure dei nostri Grandi vanno attorno grossi libri stampati), Dante non rivelava la sua visione, esule, condannato al fuoco, e costretto a mendicare la vita a frusto a frusto? Campanella non concepiva prose e versi e utopie di umana felicità, nello squallore di una prigionia più che trilustre? Condorcet, mentre deliberava uccidersi per fuggire al patibolo, non sognava sogni di umana perfezione, sino al punto di presagire la immortalità a noi atomi per un minuto animati? Voltaire sopra i muri del carcere segnò i versi della Enricheide; e Torquato, rinchiuso come colpevole e matto, scriveva nobilissime carte tutte piene di filosofia. E poichè gli esempi potrebbero prodursi infiniti, così sarà consiglio buono rimanerci a questi.
Cagione di decadenza ci parve il poco o il nessun costrutto che i letterati ricavano dalle onorande loro fatiche: ma per quanto me ne giungesse notizia, nè Omero mai nè Dante ritrassero copia di beni dai canti divini. Milton (e fu fortunato) vendè trenta ghinee il Paradiso perduto; e al giorni nostri, Carlo Botta (Tito Livio della Italia moderna) si ridusse a pagare lo speziale dei farmachi somministrati alla inferma consorte con tante copie della Guerra Americana, a ragguaglio di peso di carta.
| |
Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
|
|
Grandi Dante Enricheide Torquato Omero Dante Paradiso Carlo Botta Tito Livio Italia Guerra Americana
|