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      Io per me volentieri mi unisco a quelli che pensano non essere troppe le pieghe che si danno al bel manto della nostra favella, molto più che parmi breve la distanza che separa il verso sciolto dalla prosa poetica, avendo anche questa il suo ritmo e la sua armonia. E come io non credo punto la prosa poetica forma biasimevole, così penso ancora non essere nuova. Molte prose dell'Alighieri ci compariscono dettate con metafore ardite e tropi e traslati che si addicono alla forma poetica, e le descrizioni che incominciano le giornate del Decamerone io non saprei ben distinguere qual forma si avessero, se con che la poetica per eccellenza. Nè qui cessano gli esempi: e se l'amore di brevità non mi dissuadesse, mi sarebbe agevole addurne altri dei vari secoli o tempi della nostra letteratura. Per le quali cose io pregherei che non si avesse a riprendere la prosa poetica, ma sì coloro che ne fanno tanto aspro governo.
      Intorno poi alla sostanza, temono il romanzo storico di trista compagnia alla storia; credono che ne alteri la fisonomia, e paventano che uso com'è a mescere il vero col falso, per amore di una favola vana, non ci faccia smarrire il cammino che conduce alla utile verità: cosicchè la storia, solenne generatrice di politica e di filosofia, si avvezzi a fondare i suoi ragionamenti sopra immaginazioni bugiarde, e quindi trarre conseguenze fallaci, là dove meglio si manifesta la necessità del vero. Questa accusa non mi sembra ragionevole: prima di tutto perchè gli uomini gravi dando opera alla filosofia e alla politica non eserciteranno per certo la intelligenza loro sopra racconti o romanzi; e poi, senza che per me si adoperi quel linguaggio sibillino o piuttosto da sciarade, che mettono in uso i nostri critici saccenti per parere profondi, e ragionando così alla casalinga, io domando se i poemi epici e le tragedie e i drammi partoriscano tutti questi malanni?


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





Alighieri Decamerone