Che se il romanziero invece d'immaginare episodii e personaggi, i quali giovino a dimostrare meglio il fatto principale o renderlo pių vario, pių curioso e pių bello, si proponga lo sviluppo di due azioni ugualmente principali, di cui una vera, l'altra fantastica, e divida in due la sua favola e guasti l'arte; - l'arte non ha colpa, e il vizio č dell'uomo.
E per di pių vogliano considerare i discreti che al poeta drammatico soccorrono molti uomini e le arti loro, mentre al romanziero tocca a formare i suoi personaggi cavandoseli dal cervello: egli ha da architettare le fabbriche, egli ornare le sale, egli dipingere boschi e cielo e stagioni e fiumi e navi; egli deve dare a bere, mangiare, dormire e vestire a tutte le creature della sua fantasia. Nei poemi epici ad ogni pič sospinto non c'imbattiamo noi in ipotiposi, prosopografie, similitudini, descrizioni e simili? ora dunque perchč siffatte cose saranno colā lodate, e biasimate nel romanzo? Nel romanzo poi s'insinua un altro elemento a renderlo pių completo, ed č il buono umore per chi sa esporlo. Questo elemento rigettano da sč sdegnosamente i poemi epici e la tragedia, come idalghi spagnuoli paurosi di contaminare la nobiltā del loro sangue; lo accolgono invece come anima i poemi eroicomici. Il romanzo e i drammi ricevono il buono umore non come forma esclusiva, nč lo rigettano come plebeo, imperciocchč queste due composizioni non aderiscano a forma prefinita, ma si modellino sopra la vita umana. Il romanziero, in certo modo, č panteista: tutto reputa buono e dicevole, purchč sia in natura; e se rincresce, colpa č di quelli che lo adoperano con mal garbo.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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