La fama di costui intristisce con i tempi. Morto povero, lontano dal trono, spenta la sua famiglia, esecrato per costume da tutti, perchè dovrebbero affaticarsi gli scrittori a rivendicarne il nome? E non pertanto ai tempi di lui le terre d'Italia erano tutte piene di tiranni senza cuore e senza intelletto, lupi contenti di un brano sanguinoso, non già lioni cupidi di magnanima preda; sicchè i popoli e la terra stessa andavano di giorno in giorno dileguandosi dentro ai sepolcri: nessuna cosa venerata, o santa; nessuna legge rispettata o temuta: ogni vincolo sciolto, e la repubblica declinante a sterminio inevitabile. Il Borgia (e lasciamo dire la gente) accolse un concetto rigeneratore: forse egli adoperò mezzi alla propria sua indole consentanei, ma certamente quali le condizioni dei tempi volevano. L'esito non potè giustificare il principio: se fosse giunto a completare il suo sillogismo di sangue, gli uomini lo avrebbero salutato ottimo, massimo. Ahimè! pur troppo che la stirpe nostra infelicissima qualche volta giunge a tale, che a redimerla nulla giova, tranne il sacrifizio di sangue! Al Valentino essendo mancata la fortuna, il comodo che doveva uscire dall'edificio finito non potè fare sì che andassero in oblio le prime pietre destinate a starsi sepolte nei fondamenti per sempre. È una gran croce quella che grava le spalle dei riformatori dei popoli! Trono o patibolo, laude od infamia, inferno o paradiso. E se alcuno stupido o protervo negasse la fortuna, io vorrei dirgli: "Chinati a quella forza indomata, arcana e feroce, alla quale, non che altri, Silla e Mario sagrificarono.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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Italia Borgia Valentino Silla Mario
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