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      Ufficio romano disciplinare a ordinato vivere civile i popoli volenti(71). Non solo i popoli del mondo, ma gli Dei stessi si riparavano all'ombra del Campidoglio e del Panteon. Simbolo della maestà romana diventarono a ragione i fasti consolari: un cumulo di verghe costrette di lacci tenaci, e Roma nel mezzo, sotto forma di scure, pronta alla difesa, alla offesa terribile. - Così i Romani con sapienza e giustizia, meglio che con le armi, dominarono l'universo, e quando nel giorno della sventura ebbero mestiero del sangue e degli averi dei confederati, chiesero con fiducia soccorso, e con agevolezza l'ottennero, non più temerono le sdegnose parole dei Volsci, e non invano sperarono che le placate ombre dei Saguntini non irrompessero dagli aperti sepolcri gridando: "Guardatevi dai traditori!"
      Certo non forma argomento di questo breve discorso la esposizione delle cause per cui Roma, dalla più sublime magnificenza alla quale Dio concedesse mai ad una generazione di uomini pervenire, decadesse in fatali rovine. Gibbon e Montesquieu lo hanno già fatto. Ma in pochissimo stringendo il molto, basti allo scopo nostro affermare, che la ingiustizia, la ipocrisia, la rapina, le fedi rotte, i codardi abbandoni, il patteggiare co' barbari, la viltà, i vizi, e le infamie pubbliche e domestiche, condussero l'impero Romano a condizione sì estrema, che supera qualunque lutto.
      Corrotti i costumi, a nulla valsero le leggi, che senza quelli possono assomigliarsi a flauti senza sonatore; splendide di saviezza furono le costituzioni di Nerone, di Domiziano, di Comodo, di Eliogabalo, di Caracalla e degli altri bruti, piuttosto che imperatori, come scrive Giuliano nei Cesari(72), e la giustizia agonizzante periva.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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