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      I teatri erano capaci di 150,000, e perfino di 485,000 persone(76). Eh via! lasciamo degli antichi Romani; noi altre squallide anime dei popoli moderni, loquaci, presuntuose, infingarde, buone insomma a nulla, assomigliamo a quei magnanimi trapassati come una lumaca a un cavallo di battaglia.
      Ma quando la virtù non fece perdonare altramente la potenza, e il diritto dei Quiriti, esteso da Giustiniano alle Provincie, non fu ampiezza di onore, ma comunione odiosa di viltà e di tributo; quando i popoli soggetti videro le mani romane spiegate sempre alle rapine, e non più strette al brando, e come gregge si trovarono venduti in prezzo di paci infami; quando finalmente, dimenticati i magnifici concetti della repubblica, prevalse la turpitudine dell'impero, allora quel così tanto stimato nome romano, a caro prezzo perfino una volta comprato, non pure si repudiava e fuggiva, ma con orrore si abbominava(77).
      Venite, e vedete se mai fu pena eguale a quella dell'impero romano. Dalle più remote regioni si mossero popoli, quasi ad un convegno di vendetta, per istraziare le membra d'Italia, ed erano di quei popoli che Mario atterriva con solo uno sguardo. Qui si riunirono genti nate fra i geli della Scizia e gli ardori dell'Arabia per depositarci sul capo un tributo di obbrobrio, nella guisa che costumavano di fare gli antichi Greci sopra la vittima espiatoria destinata ad essere lanciata negli abissi del mare(78). Da ora in poi gli sfregi sopra la faccia compongono gli annali di Roma. Di lei non avanza neppure la rovina: naturali e stranieri congiunsero le mani per seppellirne perfino la tomba; imperciocchè la tomba medesima era argomento di troppa vergogna pei primi, di troppo terrore ai secondi(79). Per grado estremo di decadenza, il nome romano stette a denotare pei barbari quanto di più abietto è mai dato d'immaginare: "Noi altri Longobardi, scrive Liutprando, vescovo di Cremona, legato dell'imperatore Ottone, allora quando presi da sdegno vogliamo offendere un nostro nemico con qualche grandissima ingiuria, non sappiamo immaginarne altra maggiore di quella, che chiamarlo Romano.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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