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La caduta delle foglie d'autunno, l'arena travolta dal turbine, la nebbia dileguata dal sole, la spuma del mare dietro nave che passa, il fumo nell'aria, lo strascinare del serpe sopra il granito, formano materia malinconica ad altrettanti paragoni per denotare la traccia dei popoli nel seno del tempo, come lo potrebbero del pari per accennare la traccia del tempo nel seno della eternità. E nonostante, una rovina così profonda duole al nemico stesso; imperciocchè l'odio non vorrebbe togliere il sentimento della vergogna e del dolore. Queste sono le piaghe Che Annibale, non che altri, farian pio.(81)
E la misura della vendetta non sembra anche colma. Popoli civili non ci hanno calpestato meno duramente dei barbari. Filosofi e poeti di alto intelletto ci oltraggiarono di contumelie non meno acerbe di quelle che Longobardi o Goti profferissero. Se essi abbassarono lo sguardo nel calice che la Provvidenza ci destinava a trangugiare, già non lo fecero mossi dal pietoso pensiero di vedere se approssimavasi al fine, e dirci poi: "Fa cuore, fratello, egli è finito!" nemmeno per temperarne l'amaro con qualche dolcezza di affetto; all'opposto per riempircelo sempre di aceto e di fiele, per aggiungervi assenzio. - Se hanno steso la mano alla corona del dolore, è stato per conficcarci le spine più addentro nel cranio. Se posero il dito nelle nostre ferite, non fu per lenirle di olio e di vino, come il Samaritano, sibbene per invelenarle coll'arsenico. - Se ci tennero dietro in questa lunga giornata di secoli a vederci portare la croce, nol fecero per soccorrerci a modo del Cireneo, ma per respingerci dall'ombra se vi cercavamo un refrigerio al capo che ardeva, per contendere una stilla di acqua alle labbra febbrili, siccome corre fama che facesse a Cristo Aasvero il giudeo errante.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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