Ci riferisce la storia come il figlio di Tarquinio rinvenisse Lucrezia occupata a' distribuire il compito della lana alle ancelle, e come Augusto imperatore non cingesse mai altre vesti che le tessute dalle mani di Livia sua moglie. I Censori, che furono magistrati preposti ai costumi, ebbero eziandio l'incumbenza di badare alla cultura delle pecore; e ciò non già perchè i Romani, considerando molti tra gli uomini in nulla differenziare dal bestiame, tranne nel numero dei piedi, li riputassero degni di custode comune, - ma perchè meglio si vigilasse questo ramo di pubblica economia. Instituirono premii, i quali narra la storia che si chiamassero ovini, pe' padri di famiglia che vi poneano pensiero, e ammende pe' trascurati. L'Italia nostra produceva in cotesta epoca lane siffatte che non cedevano alle affricane, nè alle asiatiche, e spesso occorrono versi in Virgilio che celebrano le lane pugliesi e le tarantine, come le migliori del mondo. I Barbari, che tutto (meno il cielo) distrussero tra noi, rovinarono anche questo ramo d'industria umana, e l'Italiano avvilito, non che pensasse a migliorare il suo stato, trovò brevi i giorni della vita - per piangere.
Imperando Claudio, Marco Columella, zio di quel tanto celebrato Columella che scrisse libri intorno le faccende rurali, introdusse primo nelle vicinanze di Cadice la pecora affricana, e la congiunse col montone spagnuolo. Tornarono invano le diligenze di quest'ottimo cittadino, imperciocchè simili imprese, dove non sieno protette da liberali Governi, o poco sussistono, o lentamente si allargano.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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