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      Ora dunque a me sembra la Pietà di Michelangiolo comprendere copiosamente in sè tutte le qualità egregie e riprovevoli di quel divino intelletto. - Il pensiero e l'arte, e se vogliamo meglio, la parte materiale o la spirituale, in cotesta opera sconfinano i supremi limiti della Natura; per la quale cosa il dardo per tensione soverchia dello arco forvia dal segno, e l'effetto viene a mancare. Quanto di più infelice e di pauroso può esercitare il patimento sopra la creatura umana; quanto lo strazio può lasciare sopra la nostra carne di miserabili vestigi, - tutto è ritratto dallo spietato scultore in quel gruppo. L'anima nostra, sotto la sferza cocente del dolore, s'irrita: ella gronda sangue, non lagrime, e rimane stupida di ribrezzo, non commossa a pietà.
      La Madre in Michelangiolo, sola con solo, sta col suo Figlio in grembo, lacero nelle membra, infranto da torture ineffabili, senza che nulla temperi lo spettacolo del morto staccato dal patibolo. Da quel congresso tremendo la Madre non può uscire che in due maniere, o col cuore impietrito, o col cuore rotto. Ora il concetto spinto a simili estremi ci vince; noi ci pieghiamo gemendo sotto questa forza, come se fosse un giogo di ferro, ma tenerezza, pietà, lagrime, ogni maniera insomma di sensi gentili, irrigiditi per soverchio rigore vengono meno. Ma ogni uomo è dominato dal proprio genio, e tale appunto la natura dispose, onde dai modi diversi di concepire e ritrarre il concetto nascesse poi celesta infinita varietà di cose, per cui l'Universo sembra che infaticabilmente si rinnuovi.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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