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      Adesso la infermità d'Ippolito assumeva un aspetto diverso, e consapevole di essere gradito alla Dianora, e del consenso materno, desiderò favellare con lei; nè mai si ristette dal sollecitarne la madre, finchè questa non gli ebbe promesso che tenterebbe di farlo contento. Ed infatti, con la consueta debolezza di coloro che si appigliano a cosa la quale sia per produrre un futuro danno, anzichè continuare nel mal presente, si consigliava la madre a giovare alcun poco il povero figliuolo. La famiglia si accorse dei suoi modi strani, chè ora compariva oltre ogni dire avventato, ora troppo dimesso. Talvolta sorgeva precipitoso, quasi dovesse estinguere un incendio per usare un ufficio di cortesia; tal'altra poteva rovinare il mondo, ed ei non si muoveva. Accadde sovente che balzasse in sella, come se il nemico minacciasse le porte della città; e il giorno di poi, quando era salito a cavallo, vi rimaneva impietrato, e le redini gli sfuggivano di mano. - "Cosa è che tanto ti turba?" domandò il padre iroso; "hai forse involato un gioiello?" - E ciò gli disse, perchè gli avevano riferito com'egli si rovinasse al giuoco, nè mai serbasse danaro nella borsa: il quale ultimo fatto era vero, imperciocchè per l'amore della Dianora spendesse assai in cortesia, e molto avesse donato al povero che la benedisse su la porta di chiesa.
      Certo giorno, suo padre, vago dello scherno, ordinava che una giovine donna gli sedesse al fianco, e durante il mangiare gli ponesse davanti una mano invece del piatto.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





Ippolito Dianora Dianora