Il qual uso dobbiamo in parte alla memoria delle antiche ballate, e in parte a certa vaghezza d'insistere sopra un piacere, che, se noi non andiamo errati, rimane maravigliosamente sovvenuto da queste congiunzioni. - Certo non vuol negarsi che sia un crimenlese di sana critica; ma noi ci scusiamo col confessarci affatto ignoranti di quest'arte salutare, e però continuando raccontiamo come le nostre buone madonne spensierate, dico della Lucrezia e dell'altra (poichè non sempre la vecchia età è la meglio guardinga, trattandosi in ispecie di comari e di zie), tornassero alla fine nella stanza dove avevano lasciati i due amanti; - non prima però che la Dianora avesse acconsentito di ricevere il novello suo sposo nella sua verginale cameretta, mediante un antichissimo arnese chiamato scala di corda. Secondo la bella costumanza consumarono il giorno col prendere parte ai sollazzi della gente della villa: menarono danze, cantarono canzoni, colsero e mangiarono dei grappoli, che vaghi di bei colori pendevano dai pergolati scintillando sopra il lor capo. Da tempo immemorabile cantano per la Toscana ballate e canzoni intorno ai fiori: una di queste, diretta innocentemente a guisa di addio alla Dianora, forte la commosse, facendola tutta impallidire nel volto. - Voi siete un vago fiore, prese a cantare una leggiadra donzella,
Voi siete un vago fior di primavera;
Un fior, che in su la seraModesto e ritrosetto si raccoglie;
Oh! avervi potess'io alle mie voglie!
E Ippolito andando a casa non fece altro che cantare per via cotesta canzone.
| |
Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
|
|
Lucrezia Dianora Toscana Dianora Ippolito
|