E con una reprimenda anche più lunga,
soggiunse l'altro. "Ora sì che mi spaventi davvero," rispose il primo; "la sua spada è spada, ma la reprimenda è il demonio, e passa di là di Arno, e non si rimane mai finchè non rompa il sonno a qualche creatura, - pure io vo' fare la serenata." - "No, no; di grazia, rammentati quello che disse il gonfaloniere. Io per me non vorrei trovarmi a tristo incontro; - un giorno o l'altro dobbiamo pure incappare nel malanno, che Dio ci tenga lontano." - "Sta cheto," riprese l'ubbriaco, "io rammento quello che il gonfaloniere disse; egli disse: - Io vo' fare la serenata. No, egli non disse vo' ma ve lo metto io: - me ne ricordo come se fosse ieri: - egli disse: gentiluomini, tre cose buone si danno in questo mondo: l'amore, la musica e la guerra, con altre mille parole che non valevano un nonnulla; - e dette per provare con una fastidiosa quantità di periodi che l'amore era buono, la guerra buona, buona la musica; ed è per questo che voglio fare la serenata." - "Fallace argomento; Vanni," l'altro riprese, "vien via, o noi avremo tra poco il nemico sopra; perocchè io abbia inteso rimuovere dall'altra parte, e vado sicuro che non sono dei nostri." - "Meglio che mai, amore e guerra, mio bel damigello.... e musica, io compisco la ballata prima che giungano." - E qui prese a cantare la più oscena canzone che mai si sia immaginata, e il nostro amante stette più volte in forse di uscire fuori, e dare il leuto in faccia a cotesto sfacciato; pur si trattenne.
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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze 1847
pagine 469 |
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Arno Dio Vanni
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