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      E sì dicendo, fece un moto che parve volesse lanciarsi fuori del balcone. - Ora avviene un grave trambusto tra il popolo. Ippolito si ferma, e volge pure egli le mani alla finestra come se gli fosse apparso l'Angiolo Custode. I parenti le si strinsero attorno per rimuoverla di costà; ma la fanciulla, diventata furente, li respinse; e gettatasi giù per le scale riuscì nella pubblica via urlando in molto compassionevole maniera:
      Popolo! Dio del cielo! Cittadini! Io sono dei Bardi, egli dei Buondelmonti; ei mi ama, ed è questa tutta la sua colpa!" E sì dicendo, cadde nelle braccia del giovane innamorato.
      Il popolo, fatto consapevole dell'avventura, condusse Ippolito e Dianora al palazzo del Potestà, gli espose la cosa come era successa, e poi mandati pei capi delle due famiglie, gli accordò in buona pace ed amistanza. E mezz'ora dopo, il fortunato amante si trovò sopra la stessa via, per la quale si era accostato al patibolo, sposo felice della bella creatura che gli camminava al fianco.
      E fu una gioia per tutta la città. Le donne addolorate tornarono più gioconde che mai, e ogni uomo si recava in traccia di mirto e di altra lieta fronda per allegrare la nuova processione; e le donzelle si alzarono il velo dalla faccia delicata, e invece del salmo funebre presero a cantare una canzone di amore. La soverchia commozione valse a sostenere i due amanti. Le guancie d'Ippolito non per anche avevano riassunto la primitiva floridezza, ma il vivido incarnato di quelle della Dianora assai compensava il pallore di lui.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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