Il padre, che era lettore fervidissimo della storia di Roma antica, gl'inculcò primo nell'anima l'amore alla libertà e l'odio verso ogni tirannide. Un giorno che il piccolo Francesco Domenico si mostrava meravigliato delle geste di Pompeo e di Catone, il padre gli disse: "Eppure uomini erano e mortali come te!...", facendogli in questo modo capire che egli pure, quando gli fosse bastato l'animo, li avrebbe potuto emulare. E certamente una grande impressione fece sul giovinetto questa sentenza che il padre gli andava spesso ripetendo: "Meglio vale vivere un giorno come un leone, che venti anni come una pecora"; sentenza che Tippoo - Saib volle incisa sui gradini del suo trono.
Per la libertà e per la patria, suoi santissimi amori, incominciò presto il Guerrazzi a fare, a soffrire.
Sedicenne, mentre studiava legge a Pisa, venne per un anno bandito dalla università, reo di aver letto e commentato ai compagni i giornali che recarono le novelle di Napoli tumultuante. Gli parve quell'atto, come era, un abuso di potere, e, adiratissimo, andò a Firenze per chiedere giustizia al presidente del così detto buon governo, Aurelio Pilotini. - Questi gli disse di non potere far nulla in suo favore. Egli allora gli rispose, spartanamente: "Io vi compiango, signore, se occupando un posto, dove, anche senza volere, fate del male, e al malfatto non potete riparare, neanche volendo, la vostra coscienza vi consente di rimanere." - Sono parole che ci dicono quanta fierezza, nella quasi universale paura, albergava nell'anima del giovinetto Guerrazzi; parole che pochi, anche oggi, in tanto strombazzamento di libertà, avrebbero il coraggio di pronunziare dinanzi all'ultimo rappresentante del potere costituito.
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