Stretto in dimestichezza con Giuseppe Mazzini, il profeta dell'Italia, del popolo, fondò con lui e con Carlo Bini, candidissima anima, lo Indicatore Livornese, un foglio che, con la scusa di propugnare il romanticismo, propugnava la rivoluzione.
Accusato poi di avere aiutata la impresa di Savoja, fu arrestato di notte tempo, messo in prigione "fra, omicidi, donne di mala fama e facinorosi di ogni maniera", e rinchiuso indi a poco nel forte Stella di Portoferrajo, tra i prigionieri di Stato. Colà dentro, nel 1834, in mezzo a patimenti di ogni fatta, scrisse l'Assedio di Firenze, il suo capolavoro, il libro che non morrà. Già il Guerrazzi aveva scritto una tragedia intitolata da Priamo, i Bianchi e i Neri, che furono rappresentati al Teatro Carlo Lodovico di Livorno, tra un uragano di fischi, e la Battaglia di Benevento. Ma dello scrittore diremo poi. Nel 1847, ai primi fremiti di libertà che novellamente corsero l'Italia, lanciò fuori la rovente sua lettera al Mazzini, una lettera che quei fremiti aumentava, una lettera che era una scossa elettrica. In essa diceva al grande agitatore genovese: "Vieni, prima che la mia vita cessi, come rivo tra i sassi, nei giorni del sole. Io per aspettarti mi soffermo sopra il limitare della morte, che invoco. Impotente a stringere la spada come il Bardo normanno, mi ti porrò al fianco nel giorno della battaglia vicina; m'avanza qualche immagine di poeta nella testa, qualche affetto nel cuore da potere inalzare un ultimo canto - o la requie - o il trionfo dei valorosi.
| |
Giuseppe Mazzini Italia Carlo Bini Indicatore Livornese Savoja Stella Portoferrajo Stato Assedio Firenze Guerrazzi Priamo Bianchi Neri Teatro Carlo Lodovico Livorno Battaglia Benevento Italia Mazzini Bardo
|