Mentre il governo livornese gli aveva fatto offrire una cattedra di letteratura nella università di Pisa, cattedra che egli sdegnosamente rifiutò, nessuna offerta gli venne mai fatta dal governo della nuova Italia, nemmeno quella del più umile posto di professorucolo, quasichè valesse egli di meno dei tanti ex preti, ex frati, ex austriacanti, ex Borbonici, ex papalini, verso dei quali i ministri della monarchia furono così prodighi d'impieghi e di onorificenze.
Il Guerrazzi, nauseatosi della vita cittadina, ove tanto fango aveva visto agitarsi, si ritirò nei suoi ultimi anni al Fitto di Cecina, nella forte Maremma toscana, e colà visse "in compagnia del mare, delle foreste scarmigliate dal vento e della malaria, invocando, e non potendo ottenere, pace", come egli stesso ebbe a scrivere. Dalla fiera solitudine del Fitto di Cecina levava di tanto in tanto la voce a difesa dei diritti del popolo e a condanna di coloro che quei diritti ledevano, e le parole del vecchio solitario avevano un'eco potente in tutta l'Italia. - Vicino a morire, e conscio del suo prossimo fine, manteneva tutta la fierezza della gioventù, tanto da scrivere ad un amico: "Riapro il mio testamento per ordinare che, morto, mi brucino, e la cenere conservino in casa. La mia pelle, per gli Dei superi ed inferi, non servirà da tamburo in fiera ai ciarlatani moderati."
La morte lo colse improvvisamente al Fitto di Cecina nella sua villa della Cinquantina, la sera del 23 settembre 1873. Ebbe grandi funerali di popolo, ai quali tutta Italia prese parte in ispirito, ed onorata sepoltura vicino alle ossa paterne, sul monte a capo della terra che gli fu culla, come, prima che lo sdegno gli suggerisse le sopra riportate parole, era stato suo desiderio.
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