La man le avess'io avvolta entro i capegli!"
Quindi reputai carità adoperare tutti i tormenti praticati dagli antichi tiranni, e dal Santo Uffìzio, ed altri ancora più atroci inventarne per eccitare la sensibilità di questa patria caduta in miserabile letargia; io la feriva e nelle ferite infondeva zolfo e pece infocati; la galvanizzava, e Dio solo conosce la mia tremenda ansietà quando le vedevo muovere le labbra livide e gli occhi spenti
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Non potendo egli combattere una battaglia, scriveva un libro; ed il libro, diremo con Giuseppe Mazzini "aveva in sè tutte le ispirazioni, tutte le alternative, tutto il furore d'una battaglia"; - il libro era una battaglia veramente. Contro chi? - Contro i nemici della patria e del popolo, chiunque si fossero, da dovunque venissero, prima contro i tiranni estranei, poi contro quelli indigeni, contro tedeschi, contro preti, contro moderati, contro tutti furfanti. E le pagine del Livornese bruciavano come tizzoni ardenti, come bottoni infocali, tagliavano come spade affilate, come baionette, come mannaie, facevano piaghe profonde, sanguinanti permanentemente, non rimarginabili.
I colpiti dalla prosa del Livornese non trovavano più pace, quella prosa li stigmatizzava, l'infamava, li metteva alla berlina. Erano allegre vendette quelle del Guerrazzi, fatte in nome dell'Italia e del popolo! Si leggano la Battaglia di Benevento, l'Assedio di Firenze, la Beatrice Cenci, il Pasquale Paoli, il Secolo che muore, l'ultimo lavoro di lui, e si giudichi. Si giudichi se i libri del Livornese sono o no battaglie campali; se in essi il Livornese riuscì o no a rimescolare cielo, terra e inferno.
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