Se l'arte di lui non è più quella che noi, oggi, seguiamo, quella che i nuovi tempi richieggono, non vuol dire; è sempre arte, e rispettabile sempre. - Ma come si debbe scrivere la lingua che parliamo, può il Guerrazzi insegnarci anche oggi.
Egli diede alla prosa italiana atteggiamenti nuovi, scultorii. Egli, in tempi nei quali belavano le arcadie e sfringuellavano le accademie, infuse nella prosa italiana l'anima che l'era venuta a mancare, le ridiede il sangue, il colore, la forza. - - Fu egli chiamato il Titano della prosa, e la denominazione sta, poi che titanica è invero la prosa sua, così straordinariamente insolita.
Ma guai agli imitatori di lui! Guai a chi volesse, soprattutto, imitarne lo stile. Questo, noi pure ne conveniamo, è, nei primi lavori del Livornese, gonfio e rettorico assai. Ma se ne corresse il Guerrazzi; e ciò può vedersi nel Pasquale Paoli, nell'Asino, nel Buco nel muro, nelle Vite del Doria, del Ferrucci, del Burlamacchi, nello Assedio di Roma, nel Secolo che muore, nei quali libri lo stile non ha i voli turbinosi che si notano negli altri, ma procede quasi sempre calmo e serene per via naturale e piana.
Nei primi lavori il Guerrazzi, come scrittore, non s'era ancora fatto; non aveva ancora una individualità propria. Era bensì l'innamorato di Giorgio Byron, il suo scolare. Il Guerrazzi si fece di poi e divenne originalissimo scrittore. A qualunque genere letterario ei si accostasse, sapeva trasformarlo ad immagine sua, vi lasciava la sua impronta.
La fantasia che egli ebbe fu alata, fu poderosa, fu straordinaria; proprio.
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