Racconta, Orazio, racconta una storia; tanto tu ci metti quanto a cogliere una rappa di finocchio, e a strofinartene i denti.
Orazio a mano a mano che il giovanetto parlava si levò su la vita a sedere, gli toccò carezzando i capelli, e così prese a dire:
E non ci è verso; bisognerà che racconti la storia. Finchè l'uomo vive ha mestieri di un cappellinaio per appiccarvi il gabbano dei suoi affetti, per quanto logoro e rattoppato e' sia; ed io non posso negare niente a questo ragazzo. Il mondo va alla rovescia; gli usignoli incominciano a prendere i rospi: tu mi sforzi a parlare, Genesio, e poi tu piangerai; guarda bene ve' ch'io non ti veda nè ti senta; che alla croce di Dio ti do uno scavezzone da intronarti la testa; e il peggio è, che il caso al solo pensarci sopra mi stringe la gola, e nella zucca non ho goccia di vino. Ad ogni modo udite.
II
Le terzettate.
Voi altri tutti siete romani di Roma, o della campagna; però di raccontarvi quale e quanta sia la famiglia dei Massimi di santa Prassede io mi passo. Questo poi importa che sappiate, come il marchese don Flaminio requiescat rimanesse vedovo di donna Vittoria Savella, nobile e virtuosa dama se altra mai ne fu pari nel mondo, dalla quale egli procreò cinque figliuoli grandi della persona secondo la loro età, ben fatti a maraviglia e belli... parevano cinque di quelle sette stelle là dalla parte di tramontana, che hanno forma di un pastorale di vescovo: e poi parlavano come Marco Tullio; alcuni di loro cantavano di poesia all'improvviso, ch'era un portento; a spada e a pugnale da stare a petto e a mettere in cervello qualunque cavaliere, o vogli spagnuolo od italiano, che portasse cappa; nelle brigate piacevoli con tutti, festosi; insomma, fra i baroni romani per universale giudizio facilmente primi.
| |
Orazio Genesio Dio Roma Massimi Prassede Flaminio Vittoria Savella Marco Tullio
|