Orsù, partiti, Orazio: incominciò di nuovo a parlare il mio signore, con quel suono pacato e soave di voce, che gli era consueto prima del casaccio della bella Siciliana: che pensi fare con le tue lacrime? che pensi che sieno le lacrime? Io volli conoscere di che cosa fossero composte, e le trovai formate con un po' di acqua e un po' di soda. Un pozzo di lacrime non crescerà ne diminuirà di uno scrupolo solo il tuo volume pesato dalla Provvidenza nella bilancia del destino: a me poi le tue lacrime fanno quanto il battesimo alle campane: non ch'io te ne sia ingrato, oh! no... fossero tanti diamanti del piviale del Papa io non le stimerei di più. Su, via, Orazio, risparmia gli occhi, che ben ti gioverà averli acuti per quelle maledette scale buie o a chiocciola, che ti hanno menato quassù. - Addio.
E in questo modo favellando mi prese risoluto pel braccio, e mi menò alla porta. Uscii pertanto lasciandolo solo: ma non sì tosto il carceriere ebbe richiuso la porta, che lo udimmo favellare a voce alta, ed anche un cotal po' risentita: onde presi il carceriere ed io dalla curiosità, incollammo. quasi per sentir meglio, le orecchie alla imposta, e senza perdere pure una parola ci venne fatto di raccogliere il seguente colloquio:
Ma signor padre, via, dove ci ha uomini ci ha modo; e salvo il rispetto filiale, che le ho professato sempre e professo, mi consenta dichiararle, che cotesta sua è una vera vessazione. Oh! che teme vostra signoria ch'io le fugga? - Momento più, momento meno non guasta: le mancherà forse tempo di starsi con me?
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