Dalla fronte, da tutta la faccia gli grondava gių il sudore, per la smania che gli si era messa addosso; e nondimeno ei beveva, e beveva, conciossiachč avesse giuocato con un vetturale a cui tracannasse pių vino.
I partitanti cosė dell'uno come dell'altro bevitore stavansi seduti, o in piedi variamente atteggiati, contando le fogliette bevute. Nessuno fiatava; cotesto silenzio era soltanto rotto dal gorgoglio del vino versato e dal colpo morto dei bicchieri battuti sopra la tavola, come bōtte che due nemici mortali si avventino in mezzo alla nebbia. I giuocatori quando posavano il bicchiere, ma pių terribili assai quando l'orlo del vetro toccava loro la radice del naso, si guardavano fissi ferocemente, che pareva si volessero scannare: gli occhi avevano voce, e si vedeva espresso, che l'uno all'altro diceva proprio cosė: "Maledetto! perchč non cedi? O non vedi, che la tua ostinazione mi fa morire? Deciditi a crepare, cane rinnegato!" e forse anche peggio.
Considerata alquanto la cosa detti spesa al mio cervello avvisandomi, che gittarmi lė framezzo a scompartirli tornava lo stesso che cacciare la mano fra la incudine e il martello; e non pertanto mi parve bene tentare un colpo ardito, per porre termine allo sconcio strazio. Mi accosto dunque di fianco a don Mario, e forte battendogli della destra sopra la spalla, gli dico:
Don Mario, io vengo dalla parte del vostro signor fratello il Marchese don Luca, condannato ad avere domani la testa mozza in capo al ponte sant'Angiolo, per ragionarvi della maledizione del vostro signor padre don Flaminio.
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Mario Mario Marchese Luca Angiolo Flaminio
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