Mangia, bevi ed ama; il resto non vale un fico annebbiato." Ed a ragione osserva Aristotile che, eccetto la fabbrica delle due città, per tutto il resto l'epitafio quadrava a pennello anco a un porco. Forse cotesta epigrafe egli dettò fra un bacio di donna ed un bicchiere di vino; non immaginando dalle mille miglia che un giorno, per sottrarsi agli scherni e forse agli strazi del vincitore, egli avrebbe dovuto ardersi con la sua reggia e i suoi tesori. Anassarco di Abdera segue Alessandro in Persia, dove, con libera favella temperando la tumidezza dello eroe, opera sì che tra i Persi appaia libertà la tirannide greca: caduto in potestà di Nicocreonte, a cui in faccia osò dire tiranno, non si sgomentò al supplizio di sentirsi pesto dentro un mortaio, e così sfida il malnato: "Tu pilla la scorza di Anassarco, chè sopra la sua anima nulla puoi." E poichè Nicocreonte lo minacciava fargli strappare la lingua, egli rispose: "nè anco questo sta in poter tuo"; e tagliatasela co' denti, gliela sputa in faccia.
Entrambi per tanto con morte affannosa precipitarono nel sepolcro, ma non vi ha dubbio che ella con paura ed agonia maggiori deve avere percosso Sardanapalo, rotto ad ogni lascivia, che Anassarco, educato nella rigida scuola degli stoici: nè questo solo; nello estremo momento, nel quale si somma la vita trascorrendo con un baleno di pensiero gli andati giorni, il re avrà sentito di certo o che moriva tutto (e questo era il meglio per lui) o che sarebbe trapassato ai posteri memoria di vituperio: all'opposto il filosofo esultò nella idea, che, finchè storia durasse al mondo, quando si volesse portare uno esempio di virtù invitta che per atrocità di tormenti non vacilla, il nome di Anassarco sarebbe ricorso spontaneo sopra le labbra degli uomini.
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