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      Non già che ad Andrea mancasse anima per maggiori concetti, ma ormai, non gli parendo possibile di meglio, si teneva contento ad essere principalissimo vassallo dello impero, padrone e guidatore delle sue armate; in patria in apparenza uguale ai maggiorenti, in sostanza capo, e ciò perchè la sembianza del principato genera invidia, e massime su i primordi ti tocca logorare le forze e vivere in pericolo, mentre, chiamando i tuoi cittadini a parte dei tuoi guadagni, ti ameranno, e, a patto che tu non porti corona, a loro parrà non essere servi e ti obbediranno di cuore. Però Andrea nemico di novità era, e ne aveva ben donde, ma distingui quelle cui poteva dare impulso un principe italiano per ingrandirsi alquanto dalle altre che prorotte da impeto di popolo avessero per fine la restaurazione d'Italia a potentissimo stato: queste egli giudicava inani a tentarsi, impossibili a compiersi; tuttavia è lecito credere, che s'ei le avesse vedute niente niente attecchire, egli ci si sarebbe gettato dentro anima e corpo per condurle a buon fine: almeno in coscienza a me sembra avere a giudicare così.
      Venezia fin da cotesto tempo si trovava ridotta alla parte di colui che ripara con la mano il lume per tema glielo spenga il vento; sicuro, il lume allora era di torcia, ma gli speculatori calcolavano di mano in mano si sarebbe ridotto a moccolo: sapienza suprema di regno mantenersi fermi; il moto in certe contingenze nuoce anco per acquistare: la storia della repubblica va illustre per nuovi gesti che aumentano il retaggio di gloria e stremano le forze dello stato: chi solo conserva perde, perchè da per tutto il tempo va dintorno con la forbice, e se non apponi ogni dì, ogni giorno scemi.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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