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      Più tardi quando gli Strozzi, i Valori con altri fuorusciti vennero ai danni di Cosimo, il popolo, levato appena il capo, disse: "La rabbia è tra i cani"; e lo riabbassò. La tirannide vendicava la libertà; dopo avere fabbricato il tiranno, cotesti cervelli balzani repugnavano servire; non vollero dirsi soddisfatti della mercede loro elargita dal principe; parecchi pretesero essere chiamati a parte della dominazione: ma poichè amore e signoria non patono compagnia, il principato, non bastando a quietarli l'oro che loro mise in mano, li saldò con la scure sul collo; e fece bene. Che Cosimo aspirasse al dominio della Italia può darsi, ma fine di regno non se lo poteva proporre; non si prestava la materia; quando l'aquila austriaca spiegava poderose l'ale, a lui era dato appena fare da falco; agguattato a Firenze, quinci rotava intorno a Piombino, a Siena e a Lucca. Piombino acquistò e Siena, ma con tanto consumo di mente e di forze che la carne non valse il giunco. Lucca non ebbe mai; lei salvarono la forma oligarchica, lo spendere a tempo e la devozione sconfinata allo impero; dissi salvarono, se può chiamarsi salute il palpitare del passero fra gli artigli dell'aquila: tuttavia Siena, Lucca Firenze raccoglievano in sè copia di umori per desiderare novità e provocarle.
      Parliamo di Siena. A Pandolfo Petrucci succede Fabio figliuolo, il quale non sapendo governarsi nè con la benevolenza nè col terrore, cade in discredito ed è cacciato; dopo il suo bando accadde grandissima mutazione nel reggimento, chè dove prima si governava mediante tre monti, ovvero ordini di cittadini cioè Nove, Popolo e Gentiluomini, di un tratto, soppressi gli altri, ne rimase in piedi uno solo che pigliò nome di Nobili e Reggenti; di tutto questo tramestio anima Alessandro Bichi figliuolo di Iacopo, che nello assedio di Firenze operò tanti e generosi gesti, il quale si andava destreggiando per soverchiare altrui; nè gli fallì il disegno ponendo a fondamento di sua grandezza l'aiuto di Francia: arduo a giudicarsi se la Francia prospera lo avrebbe soccorso, ma percossa dalla fortuna a Pavia, lo lasciò andare, ond'ei vi perse la sostanza e la vita.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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