Lo imperatore di queste discordie cittadine non si pigliava pensiero o poco, e forse anco che così fosse gli giovava; ma quando avvenivano cose che toccassero i propri interessi, egli ed i suoi mostravano i denti. Ora accadde che la fazione dei Salvi andasse di dì in dì declinando, non già per solerzia altrui, bensì per vizio proprio; chiunque intenda prevalere, se venuto a contesa non vince, perde; impattarla non giova, gli è come persa. I Salvi si sentivano mancare il terreno sotto e non si rendevano capaci delle cause; questo però si faceva loro sempre più chiaro, che senza aiuto non potevano tirare innanzi, e da parte dello imperatore se non erano anco inimicati alla scoperta con lui, tuttavia di là miravano addensarsi la procella. Per mala ventura loro capitò in Siena uno armeggione chiamato Ludovico delle Armi, il quale si mise a sobbillarli: non dessero tempo al tempo; scostandosi dallo imperatore si gittassero in balìa della Francia, che gli avrebbe accolti a braccia aperte; sotto la protezione di cotesto potente reame si sarebbero potuti dire veramente e sicuramente primi; e poi o che volevano mettere la generosa natura del re di Francia con la crudele taccagneria di Carlo? Intanto ecco egli mandava loro danari, ed essi gli agguantarono; inoltre promesse a carra, ed essi le crederono, perocchè gradevoli fossero ed accomodate ai fatti loro. Già anco condotte tra prudenti e pochi le congiure vengono per ordinario a scoprirsi, pensiamo poi se tra giovani che si portino il cervello sopra la berretta; però l'oratore di Carlo V a Roma, ammonito partitamente della cosa, scrisse una lettera terribile al duca Alfonso addossandogli tutta la colpa di coteste rivolture.
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