Queste con altre cose di minor conto ordinò la riforma, che davvero non aveva bisogno di essere ponzata tanto; un fine, e, per quanto si dice, presagito dal Palmieri dell'ordine popolare, lo ebbe, e fu di abbattere la soperchianza del Salvi, ma pose capo anco ad un altro che da lui non era presagito nè voluto, perchè i noveschi ne ripigliarono gagliardia, e i popolani ne rimasero avviliti. Ciò fatto, il Granvela disegna fabbricare un castello come calcio in gola ai Sanesi; si rinforza con milizie spagnuole chiamate da Firenze; per ultimo crea la balìa; quanto a sè per gli otto di sua elezione nomina altrettanti cittadini apertamente avversi ai Salvi e al duca di Amalfi. Opere prime della balìa furono chiedere al consiglio che in lei la suprema autorità si trasferisse e che le provvisioni di danaro stanziate pei pretesi meriti ai cittadini si cassassero: la prima proposta come eccessiva rigettasi, la seconda no; onde i Salvi e gli altri con ripetìo e querimonia infinita rimasero di un tratto privati di quelle che fruivano, e non erano poche. Difficile è dire dove sarebbe giunto il Granvela, se in questa perpetua altalena delle umane cose non fosse avvenuto un caso il quale temperò e di molto il vino fumoso di lui; e fu lo immenso disastro dello imperatore davanti Algeri. Allora, ripiegando le vele, egli appiccò all'arpione la voglia del castello, renunziò a inquisire pei reati commessi, insistè a volere confinati quattro dei Salvi, ma, per non parere, confinò di riscontro quattro noveschi.
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