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      Don Giovanni non se lo lasciò intimare due volte; levò le ciglia in su a guardare la casa, poi, borbottando un: consummatum est, si ridusse in palazzo, il quale con molte guardie diligentemente assicurò. Avendo intanto il popolo raccolta copia di fascine, disegnava con esse incendiare la porta della casa e così ad un tratto espugnarla, se non che quei di dentro, o per furore di morte vendicata, o per isperanza di vita conservata, dalle finestre fioccavano archibugiate da mettere in cervello anco i più animosi; il capitano Enea Sacchini, vedendo che alla scoperta non riusciva l'assalto a bene, entrò co' compagni nelle case dirimpetto, e quinci riparati dalle finestre fecero un fuoco d'inferno; per la quale cosa gli assaliti sopraffatti cessarono il trarre, sicchè, levate le offese, potè il popolo accostarsi alla porta, arderla ed irrompere in casa. La rabbia del popolo non ha paragone che con quella degli elementi; prece o minaccia ugualmente inutili per lui; in quanti il popolo occorse, tanti scannò; qualcheduno si arrampicò su i tetti, ma quivi raggiunti presero con presentissimo pericolo a correre pei tegoli; e i popolani dietro con non minore pericolo ad agguantarli e, presili, a rischio di rotolare giù insieme avviticchiati, scaraventarli di sotto: le strade andarono lunga ora funestate per pozzanghere piene di sangue umano e per membra ed ossa lacere; nè la età novella salvò dal fato estremo il giovanetto Giulio Orlandini, il quale, per miracolo uscito fuori e passata felicemente una prima schiera di popolani, s'imbattè in una seconda che da parte a parte con le alabarde lo traferì; più avventuroso Giorgio Trecerchi, il quale, tratto a sè l'uscio di una cantina, si nascose nel vano a triangolo che l'uscio si lascia dietro quando tocca la parete parallela, ed i feroci, mentre cercavano da per tutto, lì non frugarono.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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