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      Messer Antonio dei Vecchi, guardatolo un cotal po' alla trista e tentennando il capo, rispose: "che rifar carte dopo aver vinta la partita la era cosa che costumavano i giocatori nelle taverne, non già gli uomini di stato nei pubblici negozi. Perpetui nemici i noveschi, perdonati più volte sempre più infesti di prima, adesso di nuovo vinti ed a stento si sradicassero così che non potessero più mettere il tallo nuovo sul vecchio: rispetto a don Giovanni sappia messer Palmieri che gli oppressori di prima o di seconda mano non perdonano mai chi abbia loro incusso paura, e se nol sa o non lo voglia sapere, dia a rimpedulare il cervello." Parole veramente di oro in oro e accette all'universale. Però fu approvato i noveschi, come soperchiatori incorreggibili e di ogni legge intolleranti, si levassaro dal governo dello stato e, pena la vita, cessassero di portare arme così in città come in contado. Don Giovanni, rotti gl'indugi, prese il largo recandosi a Firenze e quindi a corte, dove citò a comparire parecchi dei maggiorenti cittadini, i quali non gli dettero retta. Dopo la sua partenza cassarono la guardia spagnuola, paltonieri che mangiavano il pane dei cittadini a tradimento, quando non lo intridevano nel sangue loro; a questo modo il reggimento rimase spartito in tre ordini di cittadini: popolani, gentiluomini e riformatori. - Qui le cronache e gli istorici ricordano un fatto il quale molto conferisce a chiarire la nostra storia, vo' dire che i Lucchesi inviarono a Siena due oratori, Bernardino Medici e Nicolaio Liena, i quali in pubblico assai si dolsero dei trambusti che avevano conturbato la città, in segreto poi esortavano i reggitori di mettersi tutti d'accordo insieme per mirare se ci era verso di sottrarsi all'abborrito dominio spagnuolo.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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