Le leggi temute quasi di rincorsa votaronsi; ormai era fiera rotta. I sediziosi dopo alcuni sforzi si accorsero quanto folle consiglio fosse quello di volere espugnare il palazzo: però andarono ad appostarsi quivi dintorno, sparando un nugolo di archibugiate contro qualunque si avvisasse cacciare il capo fuori dalla finestra: però quantunque nella massima parte i partigiani dei faziosi fossero usciti di palazzo gittandosi giù dalle finestre, pure taluno ve ne rimaneva; fra questi uno Alberto da Castelnuovo, immanissimo giovane, il quale con perverso animo volle e tentò dentro una medesima ruina seppellire città e cittadini, il fatto e la memoria del fatto; ond'è che, approfittandosi del parapiglia degli accorsi nella stanza della munizione, lasciò cascare la corda accesa sopra un bariglione di polvere aperto; s'infiammò la polvere e con veemenza pari al terrore scrollò le mura, svelse il tetto balestrandolo in frammenti lontano per centinaia di braccia; venti infelici ne andarono più o meno malconci di dolorose ferite; e nondimanco così provvide il caso che il fuoco non si appigliò agli altri bariglioni lì presso poco discosti. Il fiero giovane, a cui forse non caleva salvarsi riuscendo, si salvò per essere andato a male il suo disegno.
Conchiuse le deliberazioni e licenziato il consiglio, compresero che, lasciando il palazzo, ci sarebbero entrati senza indugio i sediziosi, e poi, ancorchè avessero voluto abbandonarlo, non saria venuto lor fatto, imperciocchè costoro gli tenessero in certo modo assediati.
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Alberto Castelnuovo
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