Viveva in corte di Carlo V un cittadino lucchese nominato Pietro Fatinelli, uomo di maneggio, procacciante e armeggione, il quale, mettendo ora il piè da un lato, ora dall'altro, come costumano gli spazzacamini, erasi inalzato assai su per la cappa della corte: anticamente appellavansi venditori di fumo, e vi aveano leggi che li punivano; adesso lasciansi stare, o perchè troppi, o perchè non reputino più misfatti gli arzigogoli loro; e di vero fra i deputati del nostro parlamento italiano io ce ne conosco parecchi, nel senato qualcheduno. Ora siccome da lontano ogni cosa che riluca par di oro, così i Lucchesi assai si valevano dell'opera sua, rimunerandolo di buone mance e commendandolo molto; ond'egli invanito fuori di misura stimò devozione le facili lodi di cui è largo ogni uomo cui prema, comechè mediocremente, tenersi bene edificato un altro uomo: bolli bolli, al fine egli venne nel pensiero di rendersene assoluto signore, sicchè, côlto la congiuntura che l'imperatore si riduceva a Lucca per conferire col papa, gli tenne dietro; dove giunto incominciò subito a mettere mano alle sue girandole: ignoro se lo conoscesse prima o se imparasse allora a conoscere il capitano Baccigalupo di Chiavari, persona arrisicata ed usa a mettersi in simili cimenti; fatto sta che con lui si accontava, e, riscaldandosi scambievolmente il cervello, credevano la impresa bella e fornita; se non che, considerandola più da vicino, conobbero com'essi si versassero nell'assoluta deficienza di tutte le cose a questo fine necessarie, onde deliberarono tenerne motto al conte Agostino Lando di Piacenza, persona di scarriera, in fama di traditore e rapace; nè la fama apparve bugiarda, come si comprende pel caso che sto per narrare e per l'altro più truce della strage proditoria di Pierluigi Farnese.
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