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      Non restava preso con quell'altro piede? E poi come fuggirà il prigioniero? La sua carcere sta in mezzo a tre altre stanze di cui una abita il custode, nell'altra albergano le guardie, nella terza convengono tutti e mangiano. Vista l'arrendevolezza, se pietà non la vogliamo chiamare, del giovane carceriere, il Curione pensa nuova malizia; si finge infermo; una calza empie con la camicia ed altre ciarpe, e il tutto attorce e comprime intorno ad un bastone che a sorte trova nella prigione appresso al letto: ciò fatto, si ripiega quanto può sotto la coscia la vera gamba, adattando al ginocchio la gamba finta così che questa paia quella: poi sul bruzzo rompe in gemiti. Il carceriere accorre profferendosi sollevarlo, e quegli lo prega gli muti il ceppo dal sinistro al destro piede tanto che gli dia tregua lo spasimo che lo trafigge; e il carceriere lo appaga; parendogli poi quasi ridotto agli estremi, molto compassionandolo, lo lascia solo; quando il sonno tenne custode e guardie, Curione pian piano abbigliatosi va ad origliare alla porta della stanza; dormivano tutti, e mentre tenta cauto la porta per somma ventura ella cede al suo tocco, avendola lasciata socchiusa il carceriere o per oblio o piuttosto per soccorrerlo caso mai ne avesse sentito il lamento; entra nel tinello, dal tinello a tastone trova la scala, e giù per essa come se avesse l'ale. Ma in fondo alla scala non era aperta la porta, bensì sbarrata da enormi catenacci; risalì il misero la scala notando sottilmente ogni cosa, come avviene a cui prema di salvare il collo dal capestro: a mezza scala rinvenne una finestra; non correva tempo per conoscere di quanto ella stesse sopra il terreno; profondo il buio, ogni arnese mancava; avanti a sè gettò la cappa per ammortire la caduta, poi quanto più può si spenzola fuori e all'ultimo si lascia andare; senza danno cadde nel cortile; va difilato alla porta di mezzo, sperandola chiusa unicamente per via di stanga a traverso, e s'inganna, era serrata a catenaccio; allora si aggira intorno tastando i muri, e trovatili lisci, sgomento e stanco si abbandona.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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