Pietoso il caso della duchessa Renata, dove tu pendi incerto se più tu deva ammirare la costanza della donna o la poltroneria del marito o la temerarietà della curia romana. Il papa, per isforzare Renata, mise su Enrico II re di Francia suo nipote, il quale le spedì a posta di Francia maestro Oris inquisitore della fede, a cui, finchè giovanezza gli arrise, piacque più il vino che il sangue, vecchio, più il sangue del vino. La commissione del re al maestro inquisitore portava che prima attestasse alla zia Renata la sua amarezza per vederla entrata in cotesto laberinto di eresia; se ciò non valesse a ritrarnela, l'obbligasse con tutta la sua casa di assistere alle prediche; dove nè pure questo rimedio giovasse, allora si ponesse sola in luogo appartato, e i famigliari suoi si processassero e condannassero. E così fu fatto: la mutarono di carcere più volte, e così di compagnia come di carcere; talora dubitarono che piegasse e s'ingannarono, stette come torre ferma alle lusinghe, alle minacce e perfino alla separazione dalle proprie figliuole; solo dichiarò credere alla chiesa cattolica, sopprimendo romana; più duro del padre, il figliuolo Alfonso, per non incontrare intoppi nella investitura del ducato da parte del papa, intimò alla madre o si convertisse o se ne andasse. Esaù vendè la primogenitura per le lenticchie, Alfonso la madre postergò al ducato: vedemmo peggio, però senz'altre parole tiriamo innanzi. Ella si partiva vecchia da Ferrara, dove era venuta giovane; il figlio che la esiliava era quel magnanimo Alfonso(40) che fece cantare e imprigionare il Tasso.
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