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      Il successore Pio IV da prima parve più mite; alla rovescia dei gatti, i quali sul principio allungano gli ugnoli, i preti li ritirano: ma di mano in mano se non peggio di Paolo, quanto lui contristò la umanità; il tribunale della Inquisizione mise in luogo appartato oltre Tevere, quasi vergognando mostrarlo: ma, nascosto o palese, tendeva ai medesimi fini co' medesimi tormenti; quivi l'alemanno Filippo Camerier conobbe e consolò l'anima afflitta di Pompeo Di Negri calabrese, cui nè amore di congiunti nè opera di amici valsero a liberare da fato inesorabile; solo, offerendo ben settemila scudi alla avarizia sacerdotale, ottennero questo, che invece di bruciarlo vivo, prima lo strangolassero, poi ardessero: ciò discrede il Cantù, che ogni sua fede pone nelle testimonianze del carnefice.
      Pareva di peggio non potesse accadere e non fu così: a due cose non si trova fondo, allo inferno e alla crudeltà dei preti. Eletto il Ghislieri a pontefice col nome di Pio V, mostrò fin dove possano giungere la forza e il malvolere giunti al fanatismo. A costui non parve abbastanza feroce Carlo IX nè la strage di san Bartolomeo sufficiente olocausto al suo furore, sicchè scriveva lettere su lettere a cotesto re minacciandolo dell'ira celeste, dove avesse risparmiato un capo solo degli eretici, e fosse qualunque; e Spagna e Francia contrastavansi allora cotesta belva di prete per avventarsela contro, ed ella insanì per modo che un giorno mostrò i denti ad ambedue pubblicando le sue costituzioni, delle quali espresso il sugo ai giorni nostri leggemmo nel sillabo di Pio IX. Prima ardevano pel delitto, adesso pel sospetto di eresia: non passava giorno che Roma non andasse contristata da simili immanità; infinite le lusinghe perchè gli eretici veri o supposti si ritrattassero; per questa sottomissione attendessero non solo perdono bensì laude e premi; ma côlti al varco le promesse irridevano; il barone Bernardo di Angola, che nella speranza di uscir di pena confessò quello che vollero, ebbe a pagare pel riscatto della vita bene ottomila scudi e poi fu condannato a perpetua prigionia, e la segnasse col carbone bianco; non diverso toccò al conte di Pitigliano, il quale, oltre a sfamare la pretina avarizia con mille scudi, ebbe a ridursi a stare, finchè gli durò la vita, dentro un convento di gesuiti.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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