Di tutto ei prevalse: dal volto dai gesti, dalla dolce favella usciva uno incanto che investiva i cuori dei carnefici postigli attorno e gli sforzava al pianto; li benedisse, li perdonò supplice si volse a Dio perchè egli pure li perdonasse: tanto amore gli nocque; gl'inquisitori, temendo l'effetto della sua facondia, ordinarono che prima di condurlo al patibolo gli mozzassero la lingua, come fu fatto: così tratto fuori, anco sul palco gorgogliò sangue e preghiere pei suoi persecutori, quinci volse intorno gli sguardi e, visto alla lontana un suo amico lo salutò della mano; subito dopo lo strangolarono ed arsero. Tutti gli astanti piansero, eccetto i preti, i quali ruggirono: essi ben potevano percotere questi uomini dabbene con le pene degli scellerati, impedire che santi fossero e come tali si venerassero non potevano. Poco è a dirsi del Varaglia piemontese, già cappuccino, che mandato a convertire i Vadesi rimase convertito; a tradimento preso, fu condannato a morte a Torino: morendo volle spaventare come Scevola gl'inquisitori annunziando loro tanti essere i suoi fratelli nella fede di Cristo che gl'inquisitori non saprebbero trovare canapa nè legna a bastanza per istrangolarli ed arderli tutti; ma gl'inquisitori, come Porsenna, non si atterrirono continuando a strozzare ed a bruciare finchè la umanità non ebbe loro tronche le braccia.
Vittima anco più pietosa di lui Luigi Pasquali di Coni: preso fino dai primi anni di sua vita dalla dottrina dei riformati, studiò a Ginevra, dove tanto si distinse che lo elessero predicatore ai Vadesi di Calabria; avendo egli dato fede di sposo a Camilla Guerina, rispose non potere accettare senza il consenso della fidanzata, la quale volentieri lo accordava; andasse, obbedisse al Signore, ella lo avrebbe aspettato fino al ritorno: egli allora si partì con Stefano Negrino.
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