Da questi modi di procedere sono venuti in tale odio segreto appresso la maggior parte di cotesto popolo che se noi non ci avessimo posto freno, sarebbe intervenuto a' detti gesuiti qualche strano accidente e peggiore di quello che successe già molti anni quando a furore di popolo ne furono cacciati mediante una segreta conventicola fatta contro di loro." Nè si creda mica che questa lettera dettasse un cervello torbido di quei tempi o, come oggi si direbbe, un rompicollo; ella era scritta il tre dicembre 1606 dal granduca Cosimo II al suo oratore a Roma. A tanto di protervia giunse Roma che nella morìa del 1630, mentre a gara il principe e i più facultosi dei cittadini profferivano i privati loro edifizi in supplimento dei pubblici per le purghe e le quarantene, e mentre anco i frati sovvenivano con ogni maniera di caritatevole soccorso, quando, costoro vennero richiesti anzi supplicati di concedere pei medesimi offici i locali di cui non si servivano, urlarono allo spoglio e all'assassinamento. Roma inorridì per la violata immunità ecclesiastica e senza indugio scomunicò quanti ci avessero partecipato, veruno escluso. Poco dopo per clemenza somma Sua Santità consentì a ribenedire i violatori a patto chiedessero perdono; agli ufficiali di sanità ed ai Fiorentini brillavano le mani, e questa volta l'avrebbero fatta vedere a cotesti preti sfacciati, ma alle granduchesse ava e madre per siffatti rumori pareva dovesse subissare il mondo: in ginocchio dunque al padre dei fedeli, al vicario di Gesù Cristo, a colui che tiene in mano le chiavi del paradiso per aprirlo o per chiuderlo a cui meglio gli talenta: però gli uffiziali di sanità ebbero a domandare perdono per avere adoperato umanamente senza il beneplacito del papa; e Roma, trovato il terreno morvido, spinse la sua temerità fino a costringere lo stato a restituire le somme contribuite dai chiesastici per la salute comune, ed a stabilire per principio che a spese del pubblico erario dovessero sovvenirsi e preti e frati in occasione di straordinarie calamità. In Toscana, dopochè Cosimo I si abiettava davanti a Pio V, si andò di male in peggio; quegli credè che, genuflettendosi al soglio pontificio, il papa gli avrebbe posto la corona sul capo, ed invece costui gli mise il collare al collo; da quel tempo in poi i granduchi furono considerati a Roma gli sbirri della Inquisizione, ed il Galluzzi scrittore sciatto e servile ciò nella sua storia conferma, e quando parla di Urbano VIII narra come egli pur fosse in possesso di siffatta bassezza quando a posta sua gli tenevano sostenuto in carcere a Firenze Mariano Alidosi signore del Castel del Rio, a cui per cagione di eresia voleva confiscarsi cotesto feudo, il quale de iure si devolveva al granduca.
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