Non potere egli fratello cadetto imbarcare casa sua in ventura tanto zarosa, senza prima farne motto a Piero, il quale per essere maggiore, e per altri rispetti bisognava consultare.
Più che tutto poi gli faceva forza il pensiero che adesso non si verificasse il dettato che il pericolo sta nello indugio; perchè ormai l'elettore di Sassonia essendo vicino ad ingaggiare battaglia con Carlo imperatore, per quanto era dato supporre, lo avrebbe vinto, conducendo egli, secondochè porgeva la fama, niente meno che ottantamila fanti e diecimila cavalli: se questo presagio si avverava, a parere suo si sarebbe di molto agevolata la impresa e vinta quasi a man salva. Al contrario il Burlamacchi osservava: "Io per me credo all'opposto, e, se non vi tedia, vi chiarisco in breve delle ragioni della mia sentenza: delle due cose l'una, o lo imperatore vince, ovvero perde: se vince, di siffatto negozio non è più a parlarne; neppure se perde, non per questo andrà in pezzi lo impero e molto meno casa d'Austria; subentrerà alla guerra grossa la guerra varia, moltiplice, minuta, nella quale i soldati italiani, massime ausiliari, non saranno adatti nè desiderati; però i superstiti torneranno in Italia, dove, comechè stremati, pure si troveranno bastanti a presidiare le città che adesso ne sono sprovviste; onde a noi la impresa riuscirà più difficile e certo non senza molto sangue, che adesso si potrebbe risparmiare."
Lione se rimanesse o no persuaso ignoriamo, questo altro sappiamo, ch'egli confermò lì su due piedi mancargli denari e le altre provvisioni di cui già aveva toccato: il Burlamacchi tornasse a Lucca a studiare il buono esito del movimento; dall'altra parte egli Lione non si sarebbe rimasto di affaticarsi notte e giorno perchè ogni cosa andasse presto e bene.
| |
Piero Sassonia Carlo Burlamacchi Austria Italia Burlamacchi Lucca Lione
|