In Barga noverare amici sviscerati Cristoforo Merighi e il fratel suo, come quelli che in grazia di lui erano stati richiamati dal bando e mercè ampissimo indulto rimessi a casa; se però togli simili offici di amicizia, onde ei riputandoli amorevoli, confidava che in caso di bisogno gli avrebbero fatto spalla o almeno non abbandonato; nè anco per ombra aver loro fatto subodorare il concepito disegno. Immaginava che i quattro gentiluomini sanesi rilegati a Lucca gli dovessero essere parziali sul fondamento che vivendo essi fuoriusciti di patria, non sarebbe loro parso vero di ritornarci per via onorata; però con messere Antonio Vecchi avere favellato una volta sola e di novelle del tutto aliene al suo concetto. Col cavaliere de' Landucci parlò due volte, una a San Gemignano, l'altra in palazzo, ed in ambedue gli tenne proposito di questa sua opinione dimostrandogli quanto buona e santa cosa sarebbe se la riuscisse; al che egli rispose: "Qui sta il punto." Egli, per fargli toccare con mano come con minori forze maggiori imprese fossero tentate e compite, gli mandò il Plutarco raccomandandogli leggesse le vite dei quattro magnanimi quivi segnate; se non che il Landucci alcuni giorni dopo gli rese il libro dicendogli ch'ell'erano fantasticherie cotesti racconti buoni per farsi a veglia; egli avergli maladettamente in uggia. Al Sergardi ne tenne proposito due volte o tre ma su le generali, come sarebbe a dire; che divina impresa sarebbe unire la Toscana in uno stato solo, nella quale ognuno dovrebbe chiamarsi contento di mettere la roba e la vita; a cui il Sergardi rispose sempre: "Pur troppo, ma i tempi correre ormai contrari a simili disegni.
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