Francesco incontrò nel castello di Milano parecchi gentiluomini di cui la storia tace il nome, eccetto quello del marchese Giulio Malaspina, col quale prese usanza, sicchè spesso trovandosi insieme, si narravano le scambievoli sventure, e l'uno andava l'altro confortando. Dei casi del marchese Giulio non importa discorrere; ne scrissi largamente nella vita di Andrea Doria, e là chi ne sente vaghezza potrà riscontrarli; basti tanto che alle prime ribellioni lo spinse Cosimo perchè gli tornavano, per le seconde, che non gli tornavano, egli fu sbirro, chè, arrestatolo proditoriamente a Pontremoli, lo consegnò allo imperatore come si manda il bue al macello. -
Lo imperatore Carlo V, fondatore della odierna tirannide e con paura e pericoli grandissimi uscito appena incolume dalle ribellioni germaniche, odiava qualunque sommossa capace a scomporre l'ordine di cose stabilito da lui, non amava Cosimo, aborriva la Francia, ma più di questi aborriva chiunque la regia potestà offendesse per conto proprio: concedasi ai re soli disfare i re, e ci pigli parte anco il popolo a patto che glielo comandi il re e sotto la condotta del re; allora servo devoto e degno di encomio; all'opposto se il popolo sorga contra il re per suo interesse e spontaneo, diventa ribelle e degno di scure sul collo. - Veramente Giulio non tentò ammazzare il Doria in benefizio del popolo, ma per necessità gli era forza ch'egli si commettesse in balìa di lui. Adesso era venuto per Carlo il tempo della vendemmia della tirannide; tutti quelli che gli avevano messo spavento avevano a morire.
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